Infortuni nel calisthenics: esercizi di spinta
Aprile 2, 2021Come già ribadito in un articolo precedente, è fondamentale allenarsi in modo intelligente. L’infortuneo, più o meno grave, fa parte del processo di apprendimento che avviene sulla propria pelle. Occorre fare tesoro di questi eventi al fine di poterli evitare.
In questa prima parte di articolo andremo ad analizzare gli infortuni più frequenti che avvengono nel contesto del calisthenics e dell’allenamento a corpo libero, in questo caso specifico nei più comuni esercizi di spinta.
Iniziamo ad elencare le cause più frequenti di infortunio (tralasciando il trauma accidentale), che accomunano tutte le discipline di allenamento con i sovraccarichi.
- MANCANZA DI MOBILITA’, data da una rigidità muscolare e/o capsulare;
- MANCANZA DI CONDIZIONAMENTO, ossia sostenere volumi di lavoro eccessivi e dosaggi errati;
- TECNICA ERRATA, per incompetenza e inesperienza nell’allenamento o nel singolo esercizio;
- MANCANZA DI FORZA E STABILITA’, ossia pensare di poter gestire un certo carico quando non si ha ancora la forza sufficiente per farlo; si verranno a creare compensi che potranno andare a sovraccaricare determinate strutture anatomiche. Lo stesso discorso vale per la debolezza dei muscoli stabilizzatori: se non sono sufficientemente forti, il rischio di perdere il controllo dell’articolazione si alza in modo importante.
- FATTORI PREDISPONENTI PERSONALI, come ad esempio alterazioni anatomiche ed età avanzata.
Descriveremo ora, nei principali esercizi di spinta, quali possono essere le patologie o gli infortuni più frequenti cercando di inquadrarli dal punto di vista causale.
DIPS
Le dips sono un movimento eseguito sul piano sagittale che combina un’estensione omerale con flessione dell’avambraccio nella fase eccentrica, seguita da una flessione omerale con estensione di avambraccio nella fase concentrica. Come si può notare, le articolazioni coinvolte a livello dinamico sono la spalla ed il gomito.
Visto il notevole carico di ingresso all’esercizio, è auspicabile che il soggetto sia dotato di una sufficiente forza per gestire il proprio peso durante l’esecuzione. Inoltre, è richiesta una corretta mobilità di spalla, soprattutto in estensione. Infatti la mancanza di mobilità è il principale motivo che giustifica lo sviluppo di un dolore alla spalla. Inoltre, più aumenta la profondità dell’esercizio, più è richiesta mobilità e piena funzionalità di spalla.
Durante la discesa, in particolare quando l’omero appunto scende sotto il parallelo, la scapola dovrà scivolare posteriormente e addursi, favorendo così lo scivolamento stesso della testa dell’omero posteriormente. Quando questo non avviene, per retrazioni muscolari della cuffia o rigidità posteriore della capsula, spesso associata a lassità anteriore, la testa dell’omero non riuscirà a compiere il gioco richiesto per diminuire la pressione intra-articolare e quindi andremo a generare un conflitto antero-superiore di questa struttura contro i tessuti sottoacromiali (impingement o conflitto sub acromiale), ad esempio tendine del sovraspinato o la borsa.
Un altro motivo che può andare a predisporre il soggetto a sviluppare conflitti del genere è l’alterato posizionamento della scapola. I soggetti con ipercifosi o con debolezza del gran dentato o del trapezio medio-inferiore, è verosimile che avranno la scapola atteggiata in tilt anteriore, con difficoltà a raggiungere il tilt posteriore; si presenterà un quadro analogo al precedente con sviluppo di conflitto anteriore.
Sollecitazioni ripetute di questi stress porteranno a sviluppare tendinopatie a carico di uno o più muscoli della cuffia dei rotatori (il sovraspinato è il più frequente), del capo lungo del bicipite, e della borsa sottoacromiale. Lo sviluppo di un’infiammazione a carico di queste strutture avrà come possibile effetto secondario la produzione di liquido sinoviale in eccesso, con conseguente riduzione degli spazi intrarticolari necessari a mantenere il movimento libero da dolore e fluido. Ne consegue limitazione funzionale.
Un’altra problematica che spesso si riscontra in chi esegue le dips alle parallele è lo sviluppo di cervicalgia o tensione alla muscolatura cervicale, in particolare nella zona dei trapezi. Questo avviene per tecnica errata o mancanza di forza nel trapezio inferiore tale da non deprimere le scapole durante il movimento. Infatti, quando iniziamo a posizionarci per l’esecuzione del movimento, è fondamentale deprimere le scapole per avere la massima stabilità articolare possibile, e successivamente scendere in avanti per eseguire il movimento.
Chi non è a conoscenza della tecnica corretta bypasserà questa attivazione scapolare, e durante la discedssa le spalle inizieranno a salire andando a sovraccaricare il trapezio superiore e la cervicale. La stessa cosa avviene in chi non ha la forza necessaria per sviluppare o chiudere il movimento. Andrà a ricercare compensi e adattamenti che lo aiuteranno a chiudere la salita, spesso iperestendendo il capo in un contesto di attivazioni muscolari totalmente disorganizzato. Questi fenomeni possono dare origine allo sviluppo di tensioni muscolari cervicali, sia in acuto che in cronico.
Un’ ultima problematica spesso riscontrata e talvolta associata anche alle dips eseguite magari con fermo in basso, seguite da una risalita veloce, è la costocondrite, il dolore allo sterno. Si può verificare quando i tessuti connettivi che connettono le fibre del pettorale allo sterno non sono ancora ben condizionati da carichi di lavoro progressivi oppure da volumi di allenamento troppo alti. La fase eccentrica dell’esercizio, in particolare se si esegue una discesa profonda, determinano la comparsa di una notevole forza di trazione delle fibre del pettorale sulle cartilagini costali. Se quest’ultime hanno una resistenza minore rispetto alla forza generata dal pettorale su di esse, potranno andare incontro a delle microlesioni con conseguente infiammazione e dolore sternale, soprattutto nella porzione superiore. Anche una rigidità di spalla può aumentare il rischio di sternocondrite, così come un riscaldamento non adeguato a preparare i tessuto coinvolti nell’allenamento può aumentare il rischio di infiammazione.
Per evitare queste problematiche occorre innanzitutto approcciare gli esercizi in modo graduale e progressivo, costruendo la forza e ottimizzando la tecnica tramite una programmazione dell’allenamento ben definita. Occorre lavorare sulla mobilità delle spalle, soprattutto in quei soggetti con ipercifosi e limitazione funzionale delle spalle. Può essere di grande aiuto la valutazione di uno specialista del movimento, di un osteopata o di un fisioterapista, meglio se competente in materia di allenamento, che possa valutare la funzionalità delle articolazioni coinvolte nel movimento.
PUSH UP
I push up sono un movimento di spinta orizzontale svolto sul piano sagittale. Da una iniziale posizione di plank a braccia tese, si effettua una flessione del gomito su di un piano obliquo verso il basso di circa 30°/45° rispetto a quello orizzontale, a cui segue una forza generata verso terra dalle braccia, corrispondente ad un’estensione del gomito, che permette di ritornare in posizione iniziale.
Come per le dips, l’articolazione più a rischio è sicuramente la spalla. Diventa fondamentale gestire la spalla mantenendola stabile, attivando il gran dentato tramite una spinta del braccio verso terra, esattamente al contrario rispetto a quanto avviene nella panca piana. Garantire questo tipo di stabilità articolare annullerà il rischio di impingement (in particolare conflitto anteriore) della testa dell’omero sui tessuti molli intra-articolari della spalla, soprattutto a carico del capo lungo del bicipite.
Inoltre è fondamentale mantenere il corretto posizionamento del braccio rispetto al corpo. Effettuare i piegamenti sulle braccia con il gomito sulla linea della spalla andrà quindi a stressare i tessuti sottoacromiali, ad esempio il tendine del sovraspinato e la borsa, in quanto si ridurrà drasticamente lo spazio tra la testa dell’omero e l’acromion, che offre passaggio a queste strutture. Lo stesso errore ripetuto nel tempo provocherà degenerazione tendinea e sviluppo di tendinite o tendinosi.
Questi stress possono essere ancor più accentuati se il push up viene svolto incrementando l’intensità tramite il rialzo dei piedi. In questo caso la direzione della discesa verso terra dovrà prevedere una piccola componente di avanzamento del corpo, associata sempre alla stabilità attiva di spalla, come descritta precedentemente.
Un ultimo infortuneo che può presentarsi sempre a seguito di un’esecuzione tecnica errata è il sovraccarico lombare sulla componente posteriore della vertebra, che determina lombalgia. Se, come spesso si vede, la zona lombare non è stabilizzata correttamente dall’attivazione del core e dalla muscolatura addominale (o per incompetenza tecnica o per aumentare il vantaggio meccanico) , per gravità il bacino e di conseguenza la zona lombare tenderanno a proiettarsi verso terra, aumentando la lordosi e di conseguenza lo stress sulle faccette articolari tra una vertebra e l’altra. Quindi, l’esecuzione scorretta dei push up, può essere anche causa di sindrome delle faccette articolari lombari, la cui causa principale responsabile è il sovraccarico funzionale. Questa avviene quando il carico sulla colonna lombare supera le capacità di resistenza del metameto vertebrale stesso. Se protratto nel tempo, magari associata ad altri fattori di rischio, può essere causa o aggravante di spondiloartrosi lombare.
HANDSTAND PUSH UP
Gli HSPU sono un esercizio di spinta verticale in cui dalla posizione a testa in giù con braccia tese, si flettono i gomiti scendendo verso terra per poi risalire a braccia tese.
Può essere eseguito principalmente in due modalità: in appoggio al muro o libero. A seconda della versione eseguita cambierà la traiettoria di movimento e quindi i possibili rischi articolari.
Come per qualsiasi esercizio di spinta nel mondo calistenico, lo stress articolare grava principalmente sulle spalle, ma in questo esercizio un grande carico potrebbe essere posto a livello di gomito e polso, se non sufficientemente condizionati e forti per gestire l’intero peso del corpo. E’ necessario avere una buona mobilità di polso se si eseguono con le mani a terra, mentre se si eseguono su parallele diminuisce il carico sul polso ma aumenta a livello tendineo sui muscoli che si inseriscono sul gomito, vista la forte attivazione dei muscoli dell’avambraccio per gestire la presa in verticale. Il discorso di stress articolare sul gomito è invece legato alla posizione delle mani. Più il soggetto è neofita dell’esercizio, più è consigliato temere le mani leggermente extraruotate e larghe tali da permettere la formazione di un angolo di 90° tra braccio ed avambraccio al termine della discesa. Angoli inferiori, se non sufficientemente abituati, possono creare stress articolare sul gomito.
Nella versione a muro, l’eventuale mancanza di forza potrebbe essere compensata da un’accentuazione della curva lombare, per spostare anteriormente la linea di forza che grava sulla spalla e diminuire il carico percepito. Questo, come per i push up, può andare a stressare la zona lombare che assumendo questa conformazione ad arco, non sarà stabilizzata dagli addominali. Se questo errore viene protratto, può essere così causa di lombalgia.
Il discorso legato agli infortuni a carico di spalla è simile ai precedenti esercizi; la mobilità richiesta, specie nei piegamenti a muro che sono più simili ad una military press, deve essere sufficiente per gestire nel miglior modo l’allineamento del corpo con il braccio. Il braccio deve stare in spinta, quindi con la scapola in elevazione verso le orecchie per garantire la massima stabilità articolare durante l’esercizio e diminuire i rischi di infortunio legati all’impingement, tipico delle esecuzioni scorrette.
PLANCHE e varianti
La planche, o orizzontale in appoggio, è un esercizio di spinta isometrica delle braccia che permette al corpo di rimanere sospeso parallelo al pavimento, sul solo appoggio delle mani.
Le diverse regressioni dell’esercizio sfruttano gli stessi meccanismi di leva sulle spalle della forma finale.
Può essere eseguita a terra, sugli anelli, sulla sbarra o parallele, ed in base al supporto utilizzato varierà anche lo stress articolare sulle diverse strutture.
Fermo restando che per minimizzare il rischio di stupidi infortuni la tecnica deve essere ottimale e la forza sufficiente per gestire le varie progressioni dell’esercizio, può capitare che se si corre troppo, soprattutto in questo esercizio dove il carico grava solo ed esclusivamente sulla spalla, il rischio di farsi male è alto. L’infortunio può verificarsi a diverse strutture.
In primo luogo, il non riuscire a mantenere la stabilità della spalla tramite antepulsione e depressione scapolare corretta espone le strutture intra-articolari ad un conflitto anteriore, in particolare a carico del tendine del sovraspinato e del capo lungo del bicipite. Ne può derivare una tendinite con successivo dolore alla spalla nei movimenti di elevazione del braccio, sia a seguito di microtraumi ripetuti, sia in modo traumatico diretto in una singola ripetizione.
In secondo luogo è stato visto come nella planche alla sbarra con presa supina, uno stress eccessivo in termini di volumi di allenamento associati ad insufficiente recupero o mancato condizionamento specifico, può essere causa di lesione (o strappo) del tendine del bicipite a livello della sua inserzione sul radio. L’elevata forza isometrica sprigionata dal muscolo per dare stabilità al gomito e coadiuvare il lavoro della spalla in flessione, può dar luogo a questo spiacevolissimo infortunio.
Merita menzione anche il dolore sul versante ulnare dell’avambraccio quando andiamo a lasciare la presa alle parallele. Probabilmente il muscolo che genera dolore è il flessore ulnare del carpo, coinvolto nel mantenimento e nella gestione della presa alle parallele. Questo è associato senza dubbio alla mancanza di condizionamento specifico della presa a carichi progressivi; spesso si passa troppo velocemente da una variante tecnica di planche ad una molto più intensa, senza averci speso il tempo sufficiente.
Fatte queste considerazioni, non è mio volere farvi prendere paura, ma è semplicemente un invito ad allenarsi con testa, senza voler saltare i diversi passaggi e le diverse progressioni, anche se il nostro corpo potrebbe permetterci di spingerci oltre. Questi infortuni possono avvenire nel contesto del calisthenics così come in altre discipline; sta a noi seguire il giusto percorso per progredire costantemente minimizzando il rischio di arresto dovuto ad infortunio.