Posts By: Simone Mauri

infortuni spalla

Come già ribadito in un articolo precedente, è fondamentale allenarsi in modo intelligente. L’infortuneo, più o meno grave, fa parte del processo di apprendimento che avviene sulla propria pelle. Occorre fare tesoro di questi eventi al fine di poterli evitare.

In questa prima parte di articolo andremo ad analizzare gli infortuni più frequenti che avvengono nel contesto del calisthenics e dell’allenamento a corpo libero, in questo caso specifico nei più comuni esercizi di spinta. 

Iniziamo ad elencare le cause più frequenti di infortunio (tralasciando il trauma accidentale), che accomunano tutte le discipline di allenamento con i sovraccarichi.

  1. MANCANZA DI MOBILITA’, data da una rigidità muscolare e/o capsulare;
  2. MANCANZA DI CONDIZIONAMENTO, ossia sostenere volumi di lavoro eccessivi e dosaggi errati;
  3. TECNICA ERRATA, per incompetenza e inesperienza nell’allenamento o nel singolo esercizio;
  4. MANCANZA DI FORZA E STABILITA’, ossia pensare di poter gestire un certo carico quando non si ha ancora la forza sufficiente per farlo; si verranno a creare compensi che potranno andare a sovraccaricare determinate strutture anatomiche. Lo stesso discorso vale per la debolezza dei muscoli stabilizzatori: se non sono sufficientemente forti, il rischio di perdere il controllo dell’articolazione si alza in modo importante.
  5. FATTORI PREDISPONENTI PERSONALI, come ad esempio alterazioni anatomiche ed età avanzata.

Descriveremo ora, nei principali esercizi di spinta, quali possono essere le patologie o gli infortuni più frequenti cercando di inquadrarli dal punto di vista causale.

DIPS

Le dips sono un movimento eseguito sul piano sagittale che combina un’estensione omerale con flessione dell’avambraccio nella fase eccentrica, seguita da una flessione omerale con estensione di avambraccio nella fase concentrica. Come si può notare, le articolazioni coinvolte a livello dinamico sono la spalla ed il gomito.

Dips

Visto il notevole carico di ingresso all’esercizio, è auspicabile che il soggetto sia dotato di una sufficiente forza per gestire il proprio peso durante l’esecuzione. Inoltre, è richiesta una corretta mobilità di spalla, soprattutto in estensione. Infatti la mancanza di mobilità è il principale motivo che giustifica lo sviluppo di un dolore alla spalla. Inoltre, più aumenta la profondità dell’esercizio, più è richiesta mobilità e piena funzionalità di spalla.

Durante la discesa, in particolare quando l’omero appunto scende sotto il parallelo, la scapola dovrà scivolare posteriormente e addursi, favorendo così lo scivolamento stesso della testa dell’omero posteriormente. Quando questo non avviene, per retrazioni muscolari della cuffia o rigidità posteriore della capsula, spesso associata a lassità anteriore, la testa dell’omero non riuscirà a compiere il gioco richiesto per diminuire la pressione intra-articolare e quindi andremo a generare un conflitto antero-superiore di questa struttura contro i tessuti sottoacromiali (impingement o conflitto sub acromiale), ad esempio tendine del sovraspinato o la borsa. 

Un altro motivo che può andare a predisporre il soggetto a sviluppare conflitti del genere è l’alterato posizionamento della scapola. I soggetti con ipercifosi o con debolezza del gran dentato o del trapezio medio-inferiore, è verosimile che avranno la scapola atteggiata in tilt anteriore, con difficoltà a raggiungere il tilt posteriore; si presenterà un quadro analogo al precedente con sviluppo di conflitto anteriore.

Sollecitazioni ripetute di questi stress porteranno a sviluppare tendinopatie a carico di uno o più muscoli della cuffia dei rotatori (il sovraspinato è il più frequente), del capo lungo del bicipite, e della borsa sottoacromiale. Lo sviluppo di un’infiammazione a carico di queste strutture avrà come possibile effetto secondario la produzione di liquido sinoviale in eccesso, con conseguente riduzione degli spazi intrarticolari necessari a mantenere il movimento libero da dolore e fluido. Ne consegue limitazione funzionale.

Un’altra problematica che spesso si riscontra in chi esegue le dips alle parallele è lo sviluppo di cervicalgia o tensione alla muscolatura cervicale, in particolare nella zona dei trapezi. Questo avviene per tecnica errata o mancanza di forza nel trapezio inferiore tale da non deprimere le scapole durante il movimento. Infatti, quando iniziamo a posizionarci per l’esecuzione del movimento, è fondamentale deprimere le scapole per avere la massima stabilità articolare possibile, e successivamente scendere in avanti per eseguire il movimento.

cervicalgia

Chi non è a conoscenza della tecnica corretta bypasserà questa attivazione scapolare, e durante la discedssa le spalle inizieranno a salire andando a sovraccaricare il trapezio superiore e la cervicale. La stessa cosa avviene in chi non ha la forza necessaria per sviluppare o chiudere il movimento. Andrà a ricercare compensi e adattamenti che lo aiuteranno a chiudere la salita, spesso iperestendendo il capo in un contesto di attivazioni muscolari totalmente disorganizzato. Questi fenomeni possono dare origine allo sviluppo di tensioni muscolari cervicali, sia in acuto che in cronico.

Un’ ultima problematica spesso riscontrata e talvolta associata anche alle dips eseguite magari con fermo in basso, seguite da una risalita veloce, è la costocondrite, il dolore allo sterno. Si può verificare quando i tessuti connettivi che connettono le fibre del pettorale allo sterno non sono ancora ben condizionati da carichi di lavoro progressivi oppure da volumi di allenamento troppo alti. La fase eccentrica dell’esercizio, in particolare se si esegue una discesa profonda, determinano la comparsa di una notevole forza di trazione delle fibre del pettorale sulle cartilagini costali. Se quest’ultime hanno una resistenza minore rispetto alla forza generata dal pettorale su di esse, potranno andare incontro a delle microlesioni con conseguente infiammazione e dolore sternale, soprattutto nella porzione superiore. Anche una rigidità di spalla può aumentare il rischio di sternocondrite, così come un riscaldamento non adeguato a preparare i tessuto coinvolti nell’allenamento può aumentare il rischio di infiammazione.

Per evitare queste problematiche occorre innanzitutto approcciare gli esercizi in modo graduale e progressivo, costruendo la forza e ottimizzando la tecnica tramite una programmazione dell’allenamento ben definita. Occorre lavorare sulla mobilità delle spalle, soprattutto in quei soggetti con ipercifosi e limitazione funzionale delle spalle. Può essere di grande aiuto la valutazione di uno specialista del movimento, di un osteopata o di un fisioterapista, meglio se competente in materia di allenamento, che possa valutare la funzionalità delle articolazioni coinvolte nel movimento.

PUSH UP

I push up sono un movimento di spinta orizzontale svolto sul piano sagittale. Da una iniziale posizione di plank a braccia tese, si effettua una flessione del gomito su di un piano obliquo verso il basso di circa 30°/45° rispetto a quello orizzontale,  a cui segue una forza generata verso terra dalle braccia, corrispondente ad un’estensione del gomito, che permette di ritornare in posizione iniziale.

Come per le dips, l’articolazione più a rischio è sicuramente la spalla. Diventa fondamentale gestire la spalla mantenendola stabile, attivando il gran dentato tramite una spinta del braccio verso terra, esattamente al contrario rispetto a quanto avviene nella panca piana. Garantire questo tipo di stabilità articolare annullerà il rischio di impingement (in particolare conflitto anteriore) della testa dell’omero sui tessuti molli intra-articolari della spalla, soprattutto a carico del capo lungo del bicipite. 

 

Inoltre è fondamentale mantenere il corretto posizionamento del braccio rispetto al corpo. Effettuare i piegamenti sulle braccia con il gomito sulla linea della spalla andrà quindi a stressare i tessuti sottoacromiali, ad esempio il tendine del sovraspinato e la borsa, in quanto si ridurrà drasticamente lo spazio tra la testa dell’omero e l’acromion, che offre passaggio a queste strutture. Lo stesso errore ripetuto nel tempo provocherà degenerazione tendinea e sviluppo di tendinite o tendinosi.

Questi stress possono essere ancor più accentuati se il push up viene svolto incrementando l’intensità tramite il rialzo dei piedi. In questo caso la direzione della discesa verso terra dovrà prevedere una piccola componente di avanzamento del corpo, associata sempre alla stabilità attiva di spalla, come descritta precedentemente.

Un ultimo infortuneo che può presentarsi sempre a seguito di un’esecuzione tecnica errata è il sovraccarico lombare sulla componente posteriore della vertebra, che determina lombalgia. Se, come spesso si vede, la zona lombare non è stabilizzata correttamente dall’attivazione del core e dalla muscolatura addominale (o per incompetenza tecnica o per aumentare il vantaggio meccanico) , per gravità il bacino e di conseguenza la zona lombare tenderanno a proiettarsi verso terra, aumentando la lordosi e di conseguenza lo stress sulle faccette articolari tra una vertebra e l’altra. Quindi, l’esecuzione scorretta dei push up, può essere anche causa di sindrome delle faccette articolari lombari, la cui causa principale responsabile è il sovraccarico funzionale. Questa avviene quando il carico sulla colonna lombare supera le capacità di resistenza del metameto vertebrale stesso. Se protratto nel tempo, magari associata ad altri fattori di rischio,  può essere causa o aggravante di spondiloartrosi lombare.

HANDSTAND PUSH UP

Gli HSPU sono un esercizio di spinta verticale in cui dalla posizione a testa in giù con braccia tese, si flettono i gomiti scendendo verso terra per poi risalire a braccia tese.

Può essere eseguito principalmente in due modalità: in appoggio al muro o libero. A seconda della versione eseguita cambierà la traiettoria di movimento e quindi i possibili rischi articolari.

Come per qualsiasi esercizio di spinta nel mondo calistenico, lo stress articolare grava principalmente sulle spalle, ma in questo esercizio un grande carico potrebbe essere posto a livello di gomito e polso, se non sufficientemente condizionati e forti per gestire l’intero peso del corpo. E’ necessario avere una buona mobilità di polso se si eseguono con le mani a terra, mentre se si eseguono su parallele diminuisce il carico sul polso ma aumenta a livello tendineo sui muscoli che si inseriscono sul gomito, vista la forte attivazione dei muscoli dell’avambraccio per gestire la presa in verticale. Il discorso di stress articolare sul gomito è invece legato alla posizione  delle mani. Più il soggetto è neofita dell’esercizio, più è consigliato temere le mani leggermente extraruotate e larghe tali da permettere la formazione di un angolo di 90° tra braccio ed avambraccio al termine della discesa. Angoli inferiori, se non sufficientemente abituati, possono creare stress articolare sul gomito.

Nella versione a muro, l’eventuale mancanza di forza potrebbe essere compensata da un’accentuazione della curva lombare, per spostare anteriormente la linea di forza che grava sulla spalla e diminuire il carico percepito. Questo, come per i push up, può andare a stressare la zona lombare che assumendo questa conformazione ad arco, non sarà stabilizzata dagli addominali. Se questo errore viene protratto, può essere così causa di lombalgia.

Il discorso legato agli infortuni a carico di spalla è simile ai precedenti esercizi; la mobilità richiesta, specie nei piegamenti a muro  che sono più simili ad una military press, deve essere sufficiente per gestire nel miglior modo l’allineamento del corpo con il braccio. Il braccio deve stare in spinta, quindi con la scapola in elevazione verso le orecchie per garantire la massima stabilità articolare durante l’esercizio e diminuire i rischi di infortunio legati all’impingement, tipico delle esecuzioni scorrette.

PLANCHE e varianti

La planche, o orizzontale in appoggio, è un esercizio di spinta isometrica delle braccia che permette al corpo di rimanere sospeso parallelo al pavimento, sul solo appoggio delle mani. 

Le diverse regressioni dell’esercizio sfruttano gli stessi meccanismi di leva sulle spalle della forma finale.

Può essere eseguita a terra, sugli anelli, sulla sbarra o parallele, ed in base al supporto utilizzato varierà anche lo stress articolare sulle diverse strutture.

Fermo restando che per minimizzare il rischio di stupidi infortuni la tecnica deve essere ottimale e la forza sufficiente per gestire le varie progressioni dell’esercizio, può capitare che se si corre troppo, soprattutto in questo esercizio dove il carico grava solo ed esclusivamente sulla spalla, il rischio di farsi male è alto. L’infortunio può verificarsi a diverse strutture.

In primo luogo, il non riuscire a mantenere la stabilità della spalla tramite antepulsione e depressione scapolare corretta espone le strutture intra-articolari ad un conflitto anteriore, in particolare a carico del tendine del sovraspinato e del capo lungo del bicipite. Ne può derivare una tendinite con successivo dolore alla spalla nei movimenti di elevazione del braccio, sia a seguito di microtraumi ripetuti, sia in modo traumatico diretto in una singola ripetizione. 

In secondo luogo è stato visto come nella planche alla sbarra con presa supina, uno stress eccessivo in termini di volumi di allenamento associati ad insufficiente recupero o mancato condizionamento specifico, può essere causa di lesione (o strappo) del tendine del bicipite a livello della sua inserzione sul radio. L’elevata forza isometrica sprigionata dal muscolo per dare stabilità al gomito e coadiuvare il lavoro della spalla in flessione, può dar luogo a questo spiacevolissimo infortunio.

Merita menzione anche il dolore sul versante ulnare dell’avambraccio quando andiamo a lasciare la presa alle parallele. Probabilmente il muscolo che genera dolore è il flessore ulnare del carpo, coinvolto nel mantenimento e nella gestione della presa alle parallele. Questo è associato senza dubbio alla mancanza di condizionamento specifico della presa a carichi progressivi; spesso si passa troppo velocemente da una variante tecnica di planche ad una molto più intensa, senza averci speso il tempo sufficiente.

Fatte queste considerazioni, non è mio volere farvi prendere paura, ma è semplicemente un invito ad allenarsi con testa, senza voler saltare i diversi passaggi e le diverse progressioni, anche se il nostro corpo potrebbe permetterci di spingerci oltre. Questi infortuni possono avvenire nel contesto del calisthenics così come in altre discipline; sta a noi seguire il giusto percorso per progredire costantemente minimizzando il rischio di arresto dovuto ad infortunio.

Infortuni in palestra

Marzo 15, 2021

Ho deciso di scrivere questo articolo in quanto molto frequentemente ricevo in studio persone o atleti che si allenano in palestra con dolori o disturbi muscolo-scheletrici senza che ci sia un evento traumatico diretto.

A livello statistico, sono rari gli infortuni traumatici durante un esercizio: è probabile che si verifichino qualora il soggetto perda la concentrazione su ciò che sta facendo perchè viene distratto o perchè pensa totalmente ad altro.
Sono al contrario molto più frequenti gli infortuni legati al sovraccarico funzionale reiterato nel corso del tempo e degli allenamenti, che provocano costanti microtraumi a carico dei tessuti anatomici coinvolti.

CAUSE PRINCIPALI DI INFORTUNIO

Iniziamo elencando 4 principali macroaree all’interno delle quali possiamo catalogare i vari infortuni da stress funzionale.

1) TECNICA DEGLI ESERCIZI
2) PROGRAMMAZIONE DELL’ALLENAMENTO
3) ASPETTI POSTURALI E FUNZIONALI SOGGETTIVI
4) MANCANZA DI RISCALDAMENTO ADEGUATO E PERSONALIZZATO

Per quanto riguarda la componente tecnica degli esercizi, l’esecuzione deve sempre tendere alla perfezione. Che si tratti di un neofito o di un esperto, l’assetto dell’esercizio deve sempre rispettare lo schema motorio che ci faccia attivare i muscoli targhet che vogliamo stimolare; deve rispettare la corretta biomeccanica e le peculiarità articolari del soggetto. Questo aspetto rappresenta sicuramente il primo punto da rispettare per evitare di farsi male.

plank sbagliato

Questa foto rappresenta la forma errata di plank, con sovraccarico sulle carico sulle strutture vertebrali posteriori

plank corretto

In questa immagine il carico è gestito correttamente dalla parete addominale.

A livello di programmazione dell’allenamento, è necessario e fondamentale conoscere il concetto di sovraccarico progressivo. I carichi e i volumi di allenamento devono essere programmati in modo consapevole rispetto alle caratteristiche del soggetto e alla sua esperienza.

Come è ben risaputo, gli adattamenti muscolari e neurali in una persona che per le prime volte si approccia all’allenamento con i sovraccarichi, sono abbastanza veloci. Nel giro di qualche mese è possibile notare un incremento di forza nei carichi sollevati notevole. Questo è dovuto al fatto che migliora la componente tecnica e migliorano le attivazioni nervose e muscolari. Purtroppo non segue la stessa velocità l’adattamento tendineo: il tendine sottoposto a carichi aumentati troppo precocemente senza rispettare il suo condizionamento progressivo inizierà ad essere sottoposto ad un sovraccarico funzionale che se protratto troppo a lungo finirà per infiammarsi.

La maggior parte delle tendinopatie è proprio legata ad un sovraccarico funzionale non progressivo ed incontrollato, anche mantenendo la tecnica più che perfetta: basti pensare alle epicondiliti ed epitrocleiti a carico del gomito negli atleti che si cimentano in centinaia di trazioni senza senso alla “no pain no gain”, oppure a tutti quei disturbi alla spalle causati da dips alle parallele con zavorre.

Sia ben chiaro, non sto demonizzando questi esercizi, sto solo dicendo che vanno affrontati solo se abbiamo rispettato i tempi del sovraccarico progressivo!

sovraccarico progressivo

Milone da Crotone e il concetto di sovraccarico progressivo nel corso degli anni.

Un terzo aspetto da considerare (e qui è necessario l’aiuto di un occhio esperto e del settore), riguarda la presa di coscienza di tutti quegli aspetti posturali e funzionali caratteristici del soggetto. Un esercizio tecnicamente corretto, con volumi e carichi programmati in modo maniacale, ma somministrato ad una persona con alterazioni posturali o limitazioni articolari funzionali, possono comunque alzare il rischio di infortunio.
Mi riferisco a tutte quelle posture sbilanciate sia sul piano frontale (scoliosi, asimmetrie scapolari, forti dismetrie degli arti inferiori…) sia sul piano sagittale (ipercifosi, spalle anteposte, iper o ipolordosi…); o ancora tutte quelle forme di limitazioni funzionali come spalle rigide o instabili, valgismo di ginocchia, piedi piatti, forti rigidità dorsali ecc.

scoliosi asimmetria

La presenza di scoliosi e la conseguente asimmetria a carico delle scapole aumenta la possibilità di infortunio se non considerata nella stesura del piano d’allenamento

Un esempio tipico di infortunio da palestra è l’infiammazione a carico di una o più strutture articolari della spalla in quei soggetti con mobilità incompleta in flessione d’omero che si cimentano nel fare esercizi overhead (sopra la testa, spinta verso l’alto). Questi soggetti avrebbero bisogno assoluto di fare un lavoro preliminare di recupero della mobilità completa prima di cimentarsi in questo tipo di esercizio.
Un altro tipico esempio è la persona con riduzione di curva lombare su base posturale o per via di una forte rigidità degli ischio-crurali che ci cimenta in squat profondi. Da li a breve quasi sicuramente svilupperà disturbi a livello lombare per incapacità di mantenere le fisiologiche curve della colonna durante la discesa. In questi casi quello che mi sento di consigliare sarà il preferire esercizi monolaterali come affondi, bulgarian squat o step up, per riuscire a mantenere un assetto di schiena e bacino più corretto possibile.

GESTIONE DEL DOLORE

Tutti questi fattori sono da cogliere preventivamente per impostare gli esercizi nel modo migliore possibile per il soggetto!
Se si dovessero avvertire fastidi o campanelli d’allarme durante i propri allenamenti, la prima cosa da fare non è smettere di allenarsi, ma farlo con più testa. E’ consigliato cercare di adattare il movimento in modo da non sentire fastidio, ad esempio cambiando l’angolo di lavoro, trovando una presa differente o semplicemente diminuendo carichi e volumi di allenamento. Sconsigliatissimo invece allenarsi sul dolore ignorando i sintomi. Più questa operazione viene ripetuta, più la struttura si sensibilizzerà, rispondendo con elevato dolore anche a sollecitazioni minori, fino all’impotenza funzionale del segmento coinvolto. In questi casi il processo di recupero e desensibilizzazione sarà ancora più lungo.

Qualora nel giro di 2-3 settimane la sintomatologia dovesse persistere, è consigliato vivamente di consultare una figura professionale esperta come l’osteopata o il fisioterapista, meglio se specializzato in ambito sportivo, per ricercare la presenza di fattori che possono inficiare con i meccanismi di autoguarigione del corpo, ad esempio un’instabilità articolare, una limitazione di movimento di un’articolazione o la disfunzione di un distretto corporeo.

Vale la pena ricordare l’importanza del riscaldamento. Un attivazione generale e specifica dei distretti coinvolti sarà sicuramente d’aiuto per alleviare lo stress sui tessuti coinvolti, soprattutto ad inizio allenamento. Nel riscaldamento generale può essere utile a scopo preventivo inserire una batteria di esercizi di mobilizzazione, stabilizzazione o propriocettività utili a lavorare sui nostri punti deboli. Nel riscaldamento specifico andremo invece a svolgere serie di avvicinamento al carico allenante dell’esercizio in programma per preparare gradualmente sia i muscoli che le attivazioni neurali specifiche per quel determinato schema motorio.

Esercizio di estensione dorsale e mobilità di spalla inserito in fase iniziale di riscaldamento specifico

Il segreto è la scapola

Marzo 15, 2021
immagine scapola

Gran parte degli infortuni in palestra a carico delle spalle sono causati da un’errata cinetica delle scapole.
Gran parte degli infortuni alle spalle non derivati dall’allenamento in palestra possono essere generati da un insieme di fattori tra cui la non corretta cinetica della scapola.

In questo articolo vorrei analizzare, dopo una breve introduzione di circostanza, i diversi movimenti che deve compiere la scapola in relazione agli esercizi in palestra.

CENNI ANATOMICI

La scapola è un osso piatto, pari e simmetrico, posizionato della regione posteriore del torace. Insieme all’omero, con cui si articola, forma l’articolazione principale della spalla. Diversi muscoli prendono origine dalla scapola per attaccarsi all’omero, creando stabilità attiva. I principali sono i muscoli della cuffia dei rotatori: sovraspinato, sottospinato, piccolo rotondo e sottoscapolare.

Come si può vedere dall’immagine, al di sopra della testa omerale è presente un tetto osseo chiamato acromion, facente parte della scapola. Lo spazio (spazio sub-acromiale) che verrà a crearsi tra la testa dell’omero e l’acromion, riveste un ruolo molto importante nei conflitti meccanici della spalla. Esso include ed è attraversato da diversi tessuti molli, tra cui il tendine del sovraspinato e la borsa sub-acromiale. Questi ultime due strutture sono spesso coinvolte nei traumi da sovraccarico a carico della spalla.

scapola

La corretta posizione della scapola nella vita quotidiana dipende principalmente da due fattori:

– forma della colonna vertebrale: un aumento della curvatura dorsale aumenta il rischio di scivolamento in avanti della scapola e quindi di anteposizione della spalla;

– corretto equilibrio tra i muscoli che agiscono sulla scapola (romboidi, trapezio, gran dentato…);

La corretta posizione della scapola negli esercizi fisici, in particolare sotto carico (pesi e corpo libero), sarà il requisito primario e fondamentale per evitare danni a breve e lungo termine a carico dei tessuti molli che compongono l’articolazione della spalla.

Prerogativa fondamentale è conoscere il posizionamento corretto della scapola nei vari esercizi ed avere un buona buona capacità di ascolto del proprio corpo, meglio se sotto la guida di un esperto.

Una riduzione della mobilità scapolare farà si che quest’osso possa muoversi non correttamente o non a sufficienza a seconda delle richieste biomeccaniche dell’esercizio.

MOVIMENTI DELLA SCAPOLA ED APPLICAZIONI PRATICHE IN PALESTRA

Vedremo ora quali sono i principali movimenti che effettua la scapola (tralasciando la descrizione dei muscoli che li permettono) e successivamente come utilizzarli nei principali esercizi in palestra dove vengono coinvolti gli arti superiori.

Nell’immagine, in ordine da sinistra a destra:

1. elevazione della scapola.
2. depressione della scapola
3. adduzione/retrazione della scapola
4. abduzione/protrazione della scapola
5. rotazione caudale della scapola
6. rotazione craniale della scapola

immagine scapola

Lo scopo di conoscere i movimenti scapolari e saperli applicare nello sviluppo degli esercizi serve soprattutto a porre l’articolazione nelle migliori condizioni biomeccaniche per preservare la salute dei tessuti molli, in particolare quelli posti all’interno dello spazio sub-acromiale nonché il giusto stato di tensione dei muscoli cervicali.

Analizzeremo ora i movimenti principali di spinta e tirata svolti su vari piani, facendo alcuni riferimenti agli esercizi specifici.

SPINTA ORIZZONTALE SUPINA: panca piana, spinte con i manubri

In questi esercizi le scapole vanno tenute addotte e depresse per aumentare il più possibile lo spazio sub-acromiale e porre il gran pettorale in vantaggio meccanico rispetto al deltoide anteriore e tricipite.

SPINTA VERTICALE: military press, spinte in alto con manubri, piegamenti in verticale

Nella fase iniziale del movimento le scapole sono addotte e depresse. Nella fase di spinta successiva devono ruotare esternamente ed elevarsi in associazione alla flessione completa dell’omero. Nei piegamenti in verticale, così come nella verticale libera, le scapole sono sempre in elevazione (spalla in spinta verso il terreno) durante tutto il movimento.

SPINTA ORIZZONTALE PRONA: tutti i tipi di push up, planche

Nei push up, le scapole hanno più libertà di movimento in quanto non sono vincolate dal piano della panca. Il loro movimento varierà da una posizione di abduzione in fase iniziale a braccia tese, ad una posizione di maggior avvicinamento (lieve adduzione) durante la massima discesa, senza però ricercarla in modo ossessivo.
La costante da mantenere durante tutto l’esercizio sarà invece la depressione della scapola, sia per una questione biomeccanica, sia per evitare sovraccarichi alla muscolatura cervicale.
Nelle planche e sue varianti, essendo esercizi statici a braccia tese, le scapole dovranno sempre essere in abduzione forzata, visto l’alto carico articolare che determina l’esercizio.

TIRATA ORIZZONTALE: body row anelli, rematore singolo, rematore con bilanciere

Nei primi due esercizi la scapola può partire da una posizione di scivolamento anteriore (abduzione). Prima di eseguire la tirata è però importante addurla e deprimerla. Questo porrà in vantaggio meccanico la muscolatura dorsale coinvolta ed eviterà un’anteposizione della testa omerale a fine tirata.
Nel rematore con bilanciere la scapola deve mantenere invece un assetto stabile (adduzione e depressione) durante tutto l’esercizio. Se dal punto di vista teorico un prestiramento del dorsale a scapola abdotta può aumentarne il lavoro, dall’altra parte la presenza di un carico importante aumenta il rischio di sovraccarico lombare. Infatti, mantenere le scapole in abduzione ci toglierà la forza di tutta la muscolatura dorsale superiore che partecipa alla stabilizzazione corretta della schiena nell’esercizio. Di conseguenza, soprattutto con carichi importanti, il rapporto rischio-beneficio è più spostato dalla parte del rischio.

TIRATA VERTICALE: lat machine, trazioni alla sbarra

In posizione di partenza le scapole partono elevate e ruotate cranialmente. Prima di eseguire la tirata, è necessario addurle e deprimerle. Questo aumenterà il lavoro a carico dei muscoli della schiena a sfavore di quelli delle braccia. Inoltre eviterà stress eccessivi alla muscolatura cervicale.
A fine movimento, ossia al termine della fase eccentrica, è possibile lasciar andare le scapole nella posizione iniziale oppure mantenerle addotte e depresse.

Un consiglio spassionato che posso darvi è quello di farvi valutare da un esperto la vostra personale cinetica scapolare. Questo serve per individuare disfunzioni a suo carico e di conseguenza cercare di migliorarne la stabilità e la mobilità con esercizi specifici in ottica sia di prevenzione da infortuni, sia per esprimere al massimo la performance nel gesto tecnico.

simone mauri core

Capita spesso di imbattermi nel web in fantomatici “fitness influencer” del momento che propongono e promuovono esercizi per il cosiddetto “core” senza avere la minima idea di quale sia la sua reale funzione e del perchè sia utile allenarlo. Viene spesso confuso come un classico allenamento per gli addominali utile ad avere la tartaruga, per sfoggiare il ventre piatto al mare, o semplicemente perchè nel corso degli ultimi anni è entrato in voga come panacea di tutti i mali il famoso Plank.

Sulla base di tutto ciò e come conseguenza degli studi in scienze motorie ed osteopatia, una delle mie “mission” quando seguo una o più persone è quella di far comprendere ed interiorizzare il motivo anatomico e funzionale del perchè venga fatto un certo tipo di esercizio.

Lo studio dell’anatomia, insieme alla visione di unità funzionale corporea che mi ha dato l’osteopatia, mi ha permesso di comprendere meglio l’utilità dell’allenamento di certi distretti corporei in relazione alle loro influenze sulla postura.
Sicuramente una zona che merita particolare interesse di essere conosciuta è proprio il “core”.

Quando propongo esercizi per il core ai miei allievi, cerco sempre di far visualizzare l’immagine della zona anatomica che andremo a sollecitare, per meglio contestualizzare il lavoro che ci appresteremo a svolgere.

Descrivo il core come un contenitore, più o meno ovale, le cui pareti sono i diversi muscoli che al loro interno contengono gli organi della regione addominale e pelvica.
E’ fondamentale che tutte le pareti di questo contenitore siano ben toniche, bilanciate e armonizzate tra loro per poter gestire e sostenere al meglio la funzionalità delle strutture che racchiudono, ossia gli organi e la colonna lombare.

CENNI ANATOMICI E POSTURALI

Ok, spero di aver reso l’idea circa di cos’è il core. Passiamo ora alla sua descrizione anatomica e funzionale integrandola con il concetto di postura.

Come dicevo, possiamo immaginare il core come un contenitore la cui parete anteriore è costituita dai muscoli addominali (retto dell’addome, obliquo interno ed esterno e trasverso dell’addome) la parete posteriore dai muscoli paraspinali (multifido, lunghissimo del dorso, erettori spinali), il fondo dal pavimento pelvico e il tetto è rappresentato dal diaframma.
Alcuni considerano muscoli accessori del core anche gran dorsale, grande gluteo, quadrato dei lombi ed alcuni muscoli cervicali, per una co-contrazione che si genera utile alla stabilizzazione del tronco.

I muscoli costituenti questo contenitore hanno il compito di stabilizzare la colonna, il bacino e le catene cinetiche durante i movimenti.core

La co-contrazione e la co-attivazione dei due comparti è fondamentale per garantire quindi una corretta postura sia in statica che in dinamica, oltre a garantire una migliore performance sportiva e vita quotidiana.
E’ molto importante riservare la stessa cura ed attenzione all’allenamento del comparto anteriore e posteriore, per non creare squilibri di forze che si possano ripercuotere a livello posturale. Infatti nel mondo del fitness viene data molta importanza all’apparenza della regione addominale, tirata, tonica e ben definita: questo porta l’utente medio ad effettuare centinaia e migliaia di ripetizioni di crunch, senza quasi considerare la regione posteriore o comunque un allenamento del core in toto.
Questo potrebbe portare, a lungo andare, ad un aumento della retroversione del bacino, soprattutto se già precedentemente associato ad una retrazione della muscolatura posteriore della coscia.
Questo fenomeno si ripercuoterà a livello lombare con una riduzione di curva, con un conseguente aumento della pressione discale, una probabile anteposizione di spalla dovuta ad accentazione di curva dorsale ecc ecc…il tutto per uno squilibrio della muscolatura che compone il core.

Questo ipotetico e “tragico” scenario ci fa capire come sia necessario che la nuova cultura e scienza legata all’allenamento in termini di medicina preventiva ed adattata debba essere ben compresa.

L’allenamento del core deve essere svolto in relazione alle sue funzioni protettive nei confronti della colonna vertebrale; deve essere in grado di sostenere la colonna nelle compressioni, nelle estensioni, nelle rotazioni e nelle inclinazioni laterali, richiamando quindi in maniera consapevole tipiche gestualità della vita quotidiana come scaricare la macchina, trasportare una cassa d’acqua, sollevare un carico o spostare un armadio.

simone mauri core

Sulla base di quanto appena affermato, una programmazione completa di esercizi per il core deve prevedere esercizi che lo stimolino a resistere a queste forze, ricercando il mantenimento della posizione neutra della colonna o meno a seconda di ciò che si sta svolgendo. Un buon trainer saprà poi valutare se l’esercizio verrà svolto correttamente o, a seconda del soggetto, può essere rischioso e quindi variato.

CORE E FUNZIONALITA’ VISCERALE

Al di la dell’aspetto estetico e meccanico legato ad una postura alterata, c’è da considerare anche l’aspetto funzionale.
Un core ipotonico soprattutto a livello della parete muscolare anteriore può generare un minor sostegno a livello pressorio a carico degli organi interni. Questa situazione può generale un quadro di ipomobilità viscerale con conseguente alterazione della funzionalità degli organi, come ad esempio stipsi, difficoltà digestive e forme di incontinenza, soprattutto se associate ad una ipofunzionalità della muscolatura del pavimento pelvico. Già il nome “pavimento” ci fa comprendere come sia una struttura destinata al sostegno di strutture superiori e quindi merita la dovuta importanza.

core funzionalità viscerale

Il core, infatti, è indispensabile nella funzione di continenza, la capacità di gestire intestino crasso e vescica trattenendone i prodotti di scarto. Non per nulla l’incontinenza da stress urinario, ossia la mancanza di controllo della vescica dovuta a disfunzione del pavimento pelvico, può derivare da una debolezza della muscolatura del core.
L’idea di tenere l’ombelico risucchiato all’interno durante gli esercizi di plank può essere un valido aiuto nel migliorare la gestione delle forze: in tal modo andremo ad attivare meglio il muscolo trasverso dell’addome, la cui funzione principale è proprio quella di mantenere la pressione addominale e quindi gli organi interni più compattati tra loro.

CONCLUSIONI

In conclusione, possiamo affermare che sia per lo sportivo che per l’utente medio che si iscrive in palestra per migliorare se stesso, l’allenamento del core (in relazione alla postura) dovrebbe essere prioritario e sempre presente, inizialmente con esercizi mirati, successivamente con esercizi composti che lo attivino all’interno di altri movimenti.
Se neofiti, affidarsi ad un esperto che sappia valutare la postura e le reali necessità è fondamentale per evitare di farsi male, perchè spesso la linea che divide un esercizio fatto bene da uno fatto male è molto sottile.

riscaldamento

L’allenamento è come la formazione scolastica, si sa quando si inizia ma non si sa quando si finisce di studiare…e per certe persone non si finisce mai di apprendere! Credo non ci sia paragone più azzeccato.

Iniziamo con il dire che non esiste un unico metodo d’allenamento, ma esistono delle “linee guida” che dovrebbero essere sempre considerate ogni qual volta che si decide di cimentarsi in una nuova attività. E questo concetto vale non solo per il neofita dell’allenamento, ma anche per l’esperto che si approccia ad una nuova disciplina, come un bodybuilder che si cimenta nel calisthenics.

definizione obiettivo

La prima cosa necessaria per allenarsi in modo intelligente ritengo sia quella di definire un obiettivo; dobbiamo aver ben chiaro dove vogliamo arrivare, che cosa vogliamo ottenere dal percorso che stiamo per intraprendere. Questo è necessario per non perdersi strada facendo, per avere sempre dei microtraguardi tangibili da poter raggiungere e di conseguenza non perdere la motivazione.
E’ necessario quindi essere realisti, aver ben chiaro in testa da dove partiamo e soprattutto non esigere il risultato in fretta; quest’ultimo aspetto è la strada migliore per perdere motivazione e rischiare di farsi male. La strada sarà lunga, ma ponendosi dei piccoli traguardi lungo il cammino possiamo aver sempre sotto controllo la nostra evoluzione.
Possiamo riportare l’esempio in ambito fitness della persona che a maggio si iscrive in palestra 1-2 mesi per essere in forma per la prova costume. Magari non è mai entrata in palestra in vita sua. Difficilmente raggiungerà il suo obiettivo in un tempo così esiguo. Magari decide anche di andare ad allenarsi tutti i giorni, quando fino al giorno prima il suo allenamento era la strada dal divano al frigorifero. E’ il modo migliore per farsi del male. La persona non solo non ha raggiunto il suo scopo, ma non è nemmeno arrivata al termine del mese di allenamento. E questo vale anche per l’allenamento a corpo libero: pretendere di eseguire certi movimenti senza un’adeguata preparazione di base è inutile e addirittura controproducente, almeno per la persona comune. Per l’atleta superdotato può essere leggermente diverso, ma il concetto è quello.

Quindi, in concreto, cosa dobbiamo fare?

Dobbiamo innanzitutto sviluppare un percorso di allenamento che crei capacità di lavoro, ossia avere l’abilità di gestire un certo carico e avere modo di recuperare tra una sessione e l’altra in vista di allenamenti più intensi e frequenti. Dobbiamo capire quanto il nostro corpo sia in grado di sopportare per avere il giusto compromesso tra allenamento produttivo e capacità di recupero. Un allenamento troppo intenso farà si che il nostro corpo non sia in grado di recuperare per la sessione successiva, rendendo così poco produttivo l’allenamento ed aumentando il rischio di infortunio; viceversa, un allenamento troppo poco stimolante può risultare inutile.

sensibilizzare corpo e mente

Un altro aspetto di fondamentale importanza è la sensibilizzazione del corpo e della mente; in una disciplina come il corpo libero, la prima cosa da imparare sono gli allineamenti posturali e gli atteggiamenti corporei segmentali. Parliamo ad esempio della capacità di mantenere il corpo teso nel modo corretto sotto un determinato carico, come in un plank sui gomiti, una barchetta, una iperestensione inversa, il tutto mantenendo i diversi segmenti corporei nel modo corretto. Sarà necessario aver ben chiare le posizioni del bacino in anti e retroversione, le retrazioni/protrazioni/elevazioni e depressioni scapolari…avere quindi una sufficiente propriocezione del corpo, dapprima in forma libera e poi sotto carico all’interno di un esercizio.

Successivamente (o talvolta parallelamente) al lavoro propriocettivo di consapevolezza corporea, è necessario approcciare nel modo corretto il lavoro sugli esercizi di base per la costruzione della forza. Ogni individuo, a seconda delle proprie doti, struttura fisica, esperienza ecc, avrà una variante tecnica adatta per iniziare a sviluppare la sua forza nei movimenti di base. Intendiamo quindi i push up, i rematori col peso corporeo, le flessioni del busto, le estensioni del busto, gli sbilanciamenti, gli affondi, i plank. Ogni esercizio dovrà essere affrontato mantenendo la componente qualitativa del gesto tecnico più alta possibile. Soltanto in questo modo si potrà progredire in modo efficace, costruttivo e sicuro.

Un altro aspetto da non trascurare, talvolta addirittura di primaria importanza, è il lavoro di sviluppo della mobilità, soprattutto a livello di quelle articolazioni che non sono in grado di esprimere il giusto grado di movimento richiesto per un determinato esercizio. Nel corpo libero, i distretti corporei su cui è necessario prestare inizialmente particolare attenzione e dedizione sono le spalle e le anche. La mobilità della spalla è richiesta in molti esercizi relativamente semplici come i dips alle parallele e la semplice tenuta in verticale al muro. Lo sviluppo di una buona elasticità della catena cinetica posteriore è invece da coltivare in funzione del raggiungimento di skill più complesse come L-sit, il V-sit e la verticale d’impostazione. Avere una corretta mobilità servirà per preservare le articolazioni da possibili sovraccarichi e per raggiungere nel modo migliore e meno faticoso possibile dei futuri movimenti complessi.

riscaldamento

Ricordiamoci che l’allenamento intelligente prevede anche un corretto riscaldamento. Aumentare la temperatura corporea, lubrificare le articolazioni, preparare i tessuti miofasciali ad esprimere le loro massime potenzialità per ogni seduta dovrebbe essere una priorità ad ogni sessione d’allenamento. Solitamente consiglio una blanda attivazione a livello di spalle ed anche, come delle semplici circonduzioni, seguite poi dal foam roller per rilasciare le tensioni miofasciali, seguito poi da un riscaldamento più specifico che vada ad aumentare la temperatura corporea. E’ possibile utilizzare alcuni esercizi tecnici per completare il riscaldamento, lavorando allo stesso tempo sulla componente propriocettiva e di controllo articolare attivo.

condizionamento articolare

La corretta programmazione della singola sessione sia in termini di fasi (riscaldamento, mobilità, lavoro tecnico e allenamento), sia in termini di carichi di lavoro, intensità e recupero, sta alla base di un altro fattore fondamentale per poter progredire in sicurezza: il condizionamento articolare. Questo forse è l’aspetto più indicativo di una programmazione intelligente. I giusti rapporti tra carichi e recuperi, concretizzabili con le giuste progressioni tecniche attraverso cui passare per raggiungere movimenti più complessi, sta alla base di questo fenomeno. Il percorso corretto e graduale compiuto per evolvere e progredire verso abilità superiori porta ad un costante e progressivo adattamento anatomico e potenziamento a carico delle strutture tendinee ed articolari. Saltare le diverse fasi che portano all’apprendimento tecnico e motorio dell’esercizio condiziona in modo negativo la saluta delle nostre strutture tendinee, ponendo le basi per lo sviluppo di tendinopatie e traumi più seri.
E’ un processo che non finisce mai, perchè per ogni livello atletico esisterà sempre un esercizio più difficile rispetto al quale le nostre strutture articolari non saranno ancora pronte.